Che fine ha fatto il miscanto? È vivo e vegeto

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Che fine ha fatto il miscanto? È vivo e vegeto

Che fine ha fatto il miscanto? Storia di una coltura energetica vittima di una bolla mediatica”. Esordisce così l’articolo[1] datato 10 maggio 2019 su un noto portale italiano dedicato all’agricoltura. L’autore inizia successivamente ad effettuare un’analisi su due mercati di applicazione della coltivazione: i biocarburanti e pellet biocombustibie e trae conclusioni negative sulla filiera della biomassa.

Benché le riflessioni in tema di produzione di biocarburanti da matrice lignocellulosica siano condivisibili, gli approfondimenti successivi sulla produzione di pellet e le conclusioni finali risultano essere alquanto superficiali e non esaustive.

Mi sento quindi in dovere di rispondere all’articolo con una riflessione, presentando fatti e dati in favore di un’antitesi alle conclusioni proposte.

Partendo dalla produzione di pellet biocombustibile dal miscanto, rientrante nel c.d. agripellet offre una valida alternativa al pellet di legno in quella tipologia di impianti considerati residenziali ed industriali. L’elevata resa per ettaro della coltivazione, con bassi input economici consente di avere una materia prima in raccolto già secca, a filiera locale, pronta per la pellettizzazione ad un costo competitivo che, se realizzata con impianti adeguati, offre un prodotto finito ad un prezzo competitivo e soprattutto stabile rispetto a quello del mercato di riferimento, ovvero il pellet di legno classe B o altre tipologie di agripellet. È largamente constatato che, il pellet di miscanto, produce una maggiore quantità di ceneri (rispetto ai competitors legnosi) ed esse hanno la caratteristica di essere basso fondenti. Bisogna tuttavia notare che, gli impianti su cui va ad inserirsi questo combustibile, sono tendenzialmente dotati di sistemi autopulenti che permettono di gestire queste problematiche come, ad esempio, le griglie mobili. Il mercato di applicazione, e le sue leggi, prevedono quindi a priori che il prodotto abbia un prezzo minore, il che non va confuso con un minor valore aggiunto. L’agripellet di miscanto così come viene prodotto ad uso energetico, ha utilizzi consolidati nel settore delle lettiere animali, con particolare riferimenti al mondo equino.

Sul panorama italiano vengono poi citate altre coltivazioni come l’Arundo donax, il Sorghum bicolor ed il pioppo. Benché tutte siano coltivazioni competitive per la produzione di biomassa, ognuna ha delle peculiarità che, se confrontate con il miscanto, non ne determinano a priori una maggiore competitività. Il duello Miscanthus vs. Arundo è stato largamente affrontato a livello scientifico ed i dati per trarre delle conclusioni proprie ed imparziali sono disponibili.

Per quanto riguarda il pioppo coltivato in short rotation è vero che ha un maggior potere calorifico, ma nella resa per ettaro non viene citato il tenore di umidità della biomassa in fase di raccolta, un parametro importantissimo in un confronto che può andare ad influenzare in maniera considerevole i costi di lavorazione (necessità di essiccazione se trasformato in pellet) ed il valore economico sul mercato e quindi l’effettiva redditività e competitività della coltivazione al netto dei contributi pubblici che essa può ricevere.

I dati economici riferiti al miscanto, inseriti nell’articolo non sono veritieri e rappresentativi: i costi di insediamento della coltivazione attraverso rizomi, calcolati per eccesso in via prudenziale, si aggirano intorno ai 2.500€/ettaro e la sua redditività può arrivare fino a 800€/ettaro senza incentivi in base al contratto di ritiro stipulato, che se ponderata con la marginalità dei terreni dedicati e l’apporto necessario da parte dell’agricoltore, risulta essere un reddito non poco interessante.

In riferimento alle conclusioni tratte nell’articolo, si evidenzia un’estrema superficialità. In tema agro energetico, le potenzialità del miscanto sono largamente dimostrate in Inghilterra, dove sono oltre 9.000 gli ettari coltivati proprio per la cogenerazione a biomassa[2] dove, il principale player attivo nel mercato ha, tra l’altro, raccolto recentemente un cospicuo investimento privato per lo sviluppo aziendale, elemento da considerare in tema di potenzialità della coltivazione[3]. Anche in altri paesi europei come Francia e Germania la coltivazione raggiunge una diffusione di migliaia di ettari trainata non solo dal mercato energetico ma soprattutto da quello delle lettiere animali e pacciamatura, totalmente non considerate all’interno dell’articolo e che dimostra l’elevata ampiezza di utilizzi della coltivazione. Senza tralasciare tutte quelle applicazioni ad elevato valore aggiunto come la produzione di compound bioplastici, fibre per l’alimentazione animale, carta, biochar e tanti altri.

Ci si chiederà perché in Inghilterra, Francia e Germania ci sia una così elevata diffusione del miscanto ed in Italia si è ancora molto indietro. Innanzitutto, mancava nel Bel Paese una realtà imprenditoriale che si inserisse come promotore della filiera ed interlocutore tra gli agricoltori ed il mercato e si facesse pioniere della coltivazione, valorizzando la ricerca accademica nazionale ed estera. Inoltre, non va dimenticato che l’Italia, a differenza di altri paesi europei non ha mai sostenuto ed incentivato in alcun modo la diffusione del miscanto all’interno dei propri pagamenti PAC e  PSR[4], causando un importante freno a quello che può essere la nascita e lo sviluppo di una filiera innovativa e fonte di reddito integrativo per un’economia agricola poco redditizia.

Lorenzo Avello

[1] https://agronotizie.imagelinenetwork.com/bio-energie-rinnovabili/2019/05/10/che-fine-ha-fatto-il-miscanto/62873

[2] Bioenergy Europe Biomass Supply Report 2019

[3] https://www.bioenergy-news.com/display_news/14144/2_million_investment_as_markets_for_miscanthus_are_opening_up/

[4] https://terraoggi.it/miscanthus-e-silphium-le-coltivazioni-non-alimentari-che-non-piacciono-ancora-allitalia/

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